Prendendo spunto da un celebre libro* di José Saramago (premio Nobel per la letteratura), invito chiunque a farsi questa domanda:
cosa succederebbe se, all’improvviso, il caffè sparisse dal mondo?
Sembra una domanda un po’ surreale, ma proviamo a immaginare per un istante cosa accadrebbe se avvenisse per davvero.
Le nostre giornate nell’epoca post-caffè
La prima tangibile traccia della “sua assenza” la troviamo ovviamente al nostro risveglio: niente moka sbuffante, nessun aroma che riempie la nostra cucina e le altre stanze, il latte non ci è mai parso tanto pallido. Inutile precipitarsi verso il primo bar: anche lì niente caffè. Al di qua del bancone la gente si guarda stordita, assonnata e balbetta qualche richiesta all’uomo al di là del bancone:
“Vorrei un… Un… Non lo so, lei che mi consiglia per svegliarmi un po’?”
“Un bel tè caldo, che ne dice?”
Perplessità e sconforto cominciano a galleggiare nell’aria del bar, così come in tutti i locali e caffetterie del mondo… Fuori dai bar la situazione è più o meno questa:
“Ci vediamo oggi per un caffè? Ti devo raccontare una cosa incredibile!”
“Sì, ok, vediamoci, ma il caffè non esiste più, non ricordi?
“Allora vediamoci e beviamo un succo di frutta, un vino bianco, che so; l’importante è che ci vediamo, no?”
“No senti, i succhi di frutta proprio no: sono solo zucchero – e io sono anche a dieta. Sul vino suppongo stessi scherzando, oppure vuoi iniziare a bere alle tre di pomeriggio?”
Si comincia quindi ad assistere ad una nevrosi collettiva. Improvvisamente il mondo viene investito da una saudade globale: una mancanza indefinita ed indefinibile che non si sa da dove arriva e perché; una mancanza che però c’è. Il caffè non esiste più e noi continuiamo a pensarci, anche se non ci ricordiamo nemmeno come era il suo aroma.
Nel frattempo è scoppiata un’epidemia di sbadigli che, di bocca in bocca, fa tre volte il giro del mondo.
Il caffè e la fine del mondo
Anche se malinconica, la nostra vita senza caffè è sopportabile. Ma per milioni di persone l’estinzione del caffè rappresenta un autentico dramma, anzi una tragedia.
Piccoli grandi produttori di caffè dell’Africa, dell’America Latina e del Sud Est asiatico si ritrovano di punto in bianco senza la loro unica fonte di reddito e sostentamento. Un mondo fiero ed agricolo si trova a fronteggiare tutta l’incertezza di una realtà senza caffè. I campi sono abbandonati, molti coltivatori addirittura emigrano e sono costretti a lasciare le loro case, altri ancora tentano la strada tortuosa della riconversione agricola, purtroppo senza successo. Chi coltiva caffè conosce mille segreti di una sola pianta, ma conosce poco delle altre colture agricole e del mercato degli altri prodotti.
Si assiste ad una vera e propria disintegrazione del “Popolo del Caffè” che trascina con sé non solo gli agricoltori bensì tutti gli operatori della filiera del caffè, inclusi i torrefattori specializzati nella selezione e nel processo di lavorazione, come Danesi, che nel buon caffè vedono una missione di vita, di molte vite intrecciate insieme.
Il caffè è sparito dal mondo, e con lui un mondo intero: quello del caffè. Eppure qualcuno è sopravvissuto e tenta la strada per trovare una valida alternativa. Le grandi multinazionali del caffè hanno diversificato il loro business e hanno fatto investimenti milionari per studiare e capire quale bevanda potesse essere propinata al mondo al posto del caffè: un intruglio a base di acqua e aromi artificiali che ricorda tanto (poco) il caffè. Perché il caffè sarà pure sparito, ma non sono spariti il business, gli azionisti e i fondi di investimento…
The show must go on, with coffee or without.
Solo una fantasia?
E se tutto ciò non fosse solamente fantasia? Oggi, come ieri, ancora molti produttori di caffè esercitano una grande pressione sulle loro produzioni per massimizzare la resa, senza troppi riguardi rispetto alla biodiversità. Allo stesso tempo, i tangibili effetti del cambiamento climatico stanno portando molte colture ad essere esposte a fenomeni inediti che indeboliscono le piante e spesso ne riducono drasticamente le produzioni. Di questo passo, il destino del caffè sarà caratterizzato dalle tinte fosche di una lenta e progressiva diminuzione delle varietà coltivabili.
Forse la fine del caffè non è vicina, ma se c’era una strada per arrivarci prima, sappiate che ancora molti produttori in giro per il globo la percorrono alla massima velocità, pur non volendo.
Lunga vita al caffè (di qualità)
C’è un impegno che da anni la nostra azienda ha messo in atto per evitare di ritrovarci in un mondo senza caffè: una serie di progetti per scongiurare che alcune colture/culture del caffè spariscano per sempre. Per questo andiamo alla ricerca di produttori, e cooperative di produttori, in grado di garantire standard di lavorazione e di processo nel pieno rispetto sia delle coltivazioni sostenibili sia delle comunità locali che vivono grazie al caffé.
Danesi promuove, attraverso questi progetti di catena corta, un’agricoltura consapevole, perché sa che un produttore strangolato dalle logiche del prezzo più basso non ha soldi da investire in coltivazioni più sostenibili, durature, affidabili.
Perché noi di Danesi, un mondo senza caffè e senza quella ricchezza di “varietà” che lo contraddistingue, proprio non riusciamo ad immaginarcelo.
Ilaria Danesi* Le intermittenze della morte, José Saramago, 2005